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25aprile opinioniIl 25 Aprile è dentro ognuno di noi.

Partecipare alla giornata di ricordo è per me un obbligo intimamente familiare; non di certo irrispettosamente delle Istituzioni che, come ogni anno prendono parola dagli altari della Democrazia, anche quest’anno ho ascoltato grandi parole fare da megafono di ideali in cui mi riconosco; ma come ogni anno, la mia mente ha visto sugli stessi altari te: Gianni De Capitani da Vimercate.

Era il Giugno 1944.

A seguito degli scioperi avvenuti in tutta la Brianza pochi mesi prima, nel Maggio dello stesso anno l’attività clandestina partigiana s’intensificò e molti si diedero da fare: Gianni, Alfredo e Santino, partigiani Lissonesi, furono protagonisti di un gesto che il regime non tardò a vendicare: imbrattarono la facciata di Palazzo Terragni con la scritta: “W la mica fresca” – viva il pane fresco; l’eco delle gesta risuono persino sulle frequenze di Radio Londra, la rappresaglia fu fulminea e si concretizzò con la cattura e fucilazione di 4 lissonesi Remo Chiusi, Mario Somaschini, Pierino Erba e Carlo Parravicini, il 16 Giugno 1944; ma la violenza chiama altra violenza.

Di li a poco, Gianni De Capitani da Vimercate venne catturato e portato alla Villa Reale di Monza.

Per nonno Santino la mossa da compiere fu chiara: il prossimo sarebbe stato lui, anche se certo che Gianni non avrebbe mai parlato. Quindi, una sera uscì prima che i suoi rincasarono da lavoro lasciando un biglietto: “devo andare via, non vi preoccupate, mi farò vivo io.”

Santino Lissoni da tempo collaborava come tipografo con la partigianeria di sesto san Giovanni: era un maratoneta ed alla sera usciva per allenarsi, così raccontava alla sua famiglia; aveva un appuntamento, ogni volta in una via diversa: veniva prelevato da una macchina, bendato e portato in una tipografia clandestina dove passava la serata a stampare manifesti della resistenza; probabilmente in zona Cinisello-Sesto San Giovanni; durante le gare, faceva da staffetta consegnando gli stessi ad altri, nascosti dentro una borsa.

Venne avvisato, neanche 24 ore dopo della cattura di Compagno Gianni, dall’allora Maresciallo dei Carabinieri di Lissone che, perentorio, lo cercò per le strade di un allora paese dove tutti conoscevano tutti: “Gianni è andato a fare un giro al Parco di Monza”: così disse al Lissoni.

Con documenti falsi dove risultava nato nel 1926 (e non nel ‘25) e residente ad Ancona
partì proprio in quella direzione; la scusa era: “vado a prendere una zia visto che stanno arrivando gli americani e la porto qua lontana dalla guerra”; nel Giugno ‘44, l’esercito alleato era alle prese sulla linea Gotica, poco distante da Ancona; a Bologna venne rastrellato assieme ad altri ad una fermata dell’autobus e portato a scavare trincee nell’entroterra riminese. Nel mentre un altro prigioniero disse:” state pronti che appena la guardia si gira, gli do una badilata”. Detto, fatto. Santino cominciò a correre tenendo il sole di fronte, fino al tramonto. Stremato vide in una vallata delle luci di una fattoria, bussò ed il fattore lo fece entrare: mi raccontò:” al ma metù li un bicchiere di latte, una pagnotta e un po’ da furmac…2 minut gh’era più nient”.

Fu poi nascosto nel fienile con due inglesi un americano e due tedeschi (imboscati).

Il mattino dopo arrivarono gli americani, fu portato al comando italiano a Brindisi ed assegnato come ausiliario alla 52° divisione Legnano. Ritornò a Lissone il 26 aprile del 1945 e non appena rincasato, il suo allora padrone, venne per dire: “domani mattina in bottega che c’è da stampare i manifesti della liberazione!”.

Cosa mi porto dentro ogni giorno e cosa rivivo ogni 25 Aprile?

Che la divisa non fa l’uomo: un Maresciallo, con la divisa nera, disobbedì ad un ordine di arresto: se pur senza prove sapeva ma un uomo è un Uomo se privilegia i valori umani prima della divisa che indossa. Che un uomo è un Cum-Panis se sacrifica qualcosa di se stesso per gli altri: Giovanni De Capitani Da Vimercate fu deportato a Mauthausen e morì di stenti in quell’inferno ma mai parlò, mai rivelò chi erano i suoi Compagni.

Che il modo migliore per rendere onore a chi ha sacrificato qualcosa per te è proseguire senza fermarsi, senza cedere alle indecisioni e desistere perché qualcosa rimarrà, qualcuno ricorderà e qualcun altro si farà portatore nel quotidiano vivere di un altrui sacrificio: come cerca di fare ogni giorno un ragazzo che oggi mentre guardava quell’altare il ricordo vivo, vivissimo, di suo nonno Santino, non gli ha permesso di trattenere la commozione e che da domani tornerà al suo silenzio etico, che grida valori identitari di cui Nonno Santino gli ha fatto dono.

PS: nella foto vengono immortalati Giovanni De Capitani da Vimercate e Santino Lissoni alla partenza di una maratona.

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